L’Assisted Hatching è una tecnica di laboratorio con la quale si pratica un piccolo foro sulla membrana che avvolge l’embrione, chiamata anche zona pellucida. Questo foro aiuta gli embrioni a schiudersi e svilupparsi più facilmente. Questa tecnica migliora le probabilità di gravidanza nel caso in cui vi sia una bassa qualità embrionaria (alterazione della zona pellucida, alto grado di frammentazione e divisione), un’età elevata del partner femminile, precedenti fallimenti di FIV, transfer di embrioni vitrificati.
L’ovocita e l’embrione che da esso si sviluppa sono contenuti in una sorta di guscio proteico noto come zona pellucida. Questa struttura ha molteplici funzioni, inizialmente nella crescita dell’ovocita all’interno del follicolo e successivamente nello sviluppo dell’embrione nelle vie genitali femminili. In particolare, si crede che la zona pellucida offra protezione meccanica durante l’ovulazione e la successiva divisione dell’ovocita fecondato. Al momento dell’impianto in utero, l’embrione allo stadio di blastocisti letteralmente sguscia (“hatches”, in inglese) dalla zona pellucida attraverso una stretta apertura che esso stesso determina nella parete dell’involucro. La tecnica dell’assisted hatching viene utilizzata nella fecondazione assistita, per trattamenti quali FIVET e ICSI, per aumentarne le probabilità di successo. Le modalità tramite cui viene generata l’apertura nella zona pellucida non sono note con certezza, ma si ritiene che a tale scopo siano determinanti enzimi di origine embrionale in grado di digerire il materiale proteico che costituisce la zona e/o la pressione che l’embrione esercita sulla superficie interna della zona durante l’espansione volumetrica da cui è interessato allo stadio di blastocisti. Una volta liberatosi della zona pellucida, la blastocisti può stabilire contatti intercellulari con la superficie della cavità uterina (l’endometrio) in modo da creare le premesse per il processo di impianto.
Da tempo si ipotizza che il processo di fuoriuscita dell’embrione dalla zona pellucida (hatching) possa essere compromesso da vari fattori, quali per esempio anomalie qualitative e strutturali della zona pellucida (per esempio, eccessivo spessore) o incapacità dell’embrione di creare un’apertura nella parete dell’involucro. In assenza dell’evento di hatching è probabile che parte dell’interazione tra embrione e endometrio venga meno e che conseguentemente l’impianto risulti problematico o impossibile. Pertanto, già dagli anni novanta si è tentato di intervenire sulla zona pellucida per facilitare l’hatching nei casi in cui si sia ritenuto che tale processo fosse compromesso. Gli interventi sulla zona pellucida sono definiti “assisted hatching” e consistono nel ridurre lo spessore o nell’interrompere la continuità di aree circoscritte zona pellucida. Esistono varie tecniche per effettuare l’assisted hatching:
- Assisted hatching con micromanipolazione meccanica. Attraverso dei “microtools” (“microstrumenti” utilizzati tramite un sistema di micromanipolazione connesso a un microscopio) viene eseguita una fessurazione a forma di “V” della zona pellucida.
- Assisted hatching con micromanipolazione con soluzione acida. In maniera controllata, la zona pellucida è esposta a un flusso di una soluzione a pH acido, in modo da corrodere del tutto o parte dello spessore dell’involucro in un’area circoscritta dell’involucro.
- Assisted hatching con micromanipolazione laser. Tramite un raggio laser il cui fuoco si concentra su un’area di pochi m2, si crea un assottigliamento o un’apertura in un’area limitata della zona pellucida.
Indipendentemente dalla tecnica di assisted hatching, che è spesso eseguita in terza giornata quando l’embrione è idealmente allo stadio di 8 cellule, gli interventi di micromanipolazione facilitano effettivamente il processo di “hatching”. In alcune circostanze, la fuoriuscita dalla zona pellucida nel punto soggetto a micromanipolazione può essere osservato in vitro non appena gli embrioni raggiungono lo stadio di blastocisti. L’assisted hatching deve essere eseguito da biologi qualificati e esperti, per assicurare che l’embrione non sia danneggiato durante la micromanipolazione.
Non tutti i casi clinici sono candidati all’assisted hatching. Le indicazioni su cui esiste maggiore consenso sono età femminile > 37 anni, valori elevati dell’ormone follicolo stimolante (FSH) alla terza giornata del ciclo, altri elementi suggestivi di scarsa riserva ovarica, elevato spessore della zona pellucida e precedenti fallimenti di trattamenti di PMA.
Benché le evidenze cliniche sull’assisted hatching non siano conclusive, diversi studi suggeriscono che le percentuali di gravidanza siano più elevate nei casi in cui la zona pellucida sia micromanipolata, a patto che siano rispettate le specifiche indicazioni di trattamento. È evidente tuttavia che i risultati ottenuti dalle diverse cliniche siano differenti a seconda di vari fattori quali la tecnica di assisted hatching utilizzata, le prestazioni del laboratorio, la competenza dell’operatore nell’esecuzione della micromanipolazione, la perizia del ginecologo nel trasferimento dell’embrione in utero, etc.
L’assisted hatching è una tecnica eseguita nei centri Biogenesi che può essere utile, ad esempio, per coppie con precedenti fallimenti di fecondazione in vitro.