Solitamente gli embrioni sono trasferiti in utero al secondo o terzo giorno di sviluppo. Utilizzando apposite tecniche di coltura, chiamate coltura degli embrioni allo stadio di blastocisti, gli embrioni possono svilupparsi fino a 5-6 giorni in ambiente extracorporeo. Tale opzione non è sempre applicabile, ma nei casi più favorevoli consente di identificare gli embrioni più idonei al trasferimento.
Coltura degli embrioni allo stadio di blastocisti: una tecnica praticata con successo dai centri Biogenesi
La coltura degli embrioni allo stadio di blastocisti è una tecnica terapeutica utilizzata nella fecondazione assistita, finalizzata a migliorare le possibilità di gravidanza. Per effettuare una coltura degli embrioni allo stadio di blastocisti, nell’ambito di un trattamento di PMA, è possibile ottenere in vitro lo sviluppo dell’embrione umano per un periodo massimo di sette giorni. Considerando come “Giorno zero” il momento in cui viene eseguita l’inseminazione (FIVET o ICSI), la coltura degli embrioni allo stadio di blastocisti procede nelle seguenti fasi:
- Giorno 1: Fecondazione
- Giorni 2-3: Clivaggio, l’ovocita fecondato va incontro a divisioni cellulari progressive che danno luogo a cellule (definite blastomeri) progressivamente più piccole ma ben distinguibili;
- Giorno 4: Compaction, i blastomeri assumono contorni cellulari poco definiti e formano un’unica massa, senza tuttavia fondersi;
- Giorni 5-6: Formazione della blastocisti: al centro dell’embrione si forma una cavità ripiena di liquido che spinge le cellule verso l’esterno, a ridosso della zona pellucida. In tal modo ha origine la blastocisti, costituita da una parete di cellule di forma epiteliale (il trofoectoderma, da cui si formeranno gli annessi embrionali) e, a un polo della blastocisti, un agglomerato di cellule ben aderenti tra loro (la massa cellulare interna, che darà luogo all’embrione vero e proprio).
Le tecniche di coltura degli embrioni allo stadio di blastocisti si sono affinate nel tempo: tecnologia, elettronica e scienze dell’informazione hanno trasformato nei decenni i laboratori di PMA. In principio, i laboratori possedevano soltanto le attrezzature basilari, come incubatori, microscopi, centrifughe, bilance analitiche e poco altro. Ai giorni d’oggi gli stessi laboratori si sono trasformati. Incubatori e microscopi oggi sono strumenti evoluti che consentono di osservare e registrare in modalità time-lapse la fecondazione e lo sviluppo dell’embrione. Il tutto senza rendere necessaria la temporanea estrazione dell’embrione dall’ambiente di incubazione per l’osservazione al microscopio invertito.
Progressi enormi sono stati ottenuti anche nella formulazione dei terreni di coltura embrionale. I primi terreni erano miscele colturali aspecifiche, le formulazioni erano spesso preparate nel laboratorio IVF, secondo criteri di qualità e riproducibilità non sempre ottimali. Oggigiorno, invece, i terreni di coltura sono formulati sulla base di studi effettuati in modelli embrionali animali e sono altamente controllati nella fase di produzione industriale.
L’embriologo contemporaneo ha due principali opzioni:
- Sequenziale: coltivare gli embrioni in una serie di terreni usati in sequenza, a partire dalla fecondazione e per i successivi 5-6 giorni fino a trasferimento in utero. Quest’opzione si ispira al concetto di “back to nature” e, attraverso diverse formulazioni usate in sequenza, tende a soddisfare le esigenze metaboliche dell’embrione, differenti a seconda delle diverse fasi dello sviluppo;
- Uso singolo: gli embrioni vengono coltivati in un singolo terreno. Quest’opzione è basata sul criterio “let the embryo choose”, secondo cui sarebbe possibile assecondare il metabolismo embrionale mettendo a disposizione un “menu degustazione” alquanto ricco e vario da cui l’embrione possa scegliere in piena autonomia quanto necessario ai propri fabbisogni.
I risultati, in termini di efficienza di sviluppo embrionale in vitro e impianto in utero, sono equivalenti tra le due opzioni.
Anche la tecnologia delle apparecchiature richieste per la coltura embrionale è progredita significativamente. I vecchi incubatori erano ingombranti contenitori nei quali il mantenimento e il monitoraggio delle condizioni di coltura ritenute necessarie per l’embrione (37°C e 20% CO2) era operazione ardua. Attualmente invece, gli incubatori sono alquanto compatti e dotati di accessori in grado di misurare in maniera continua e precisa temperatura e parametri micro-atmosferici, senza perturbare l’embrione durante la coltura. Le condizioni fisiche di coltura sono state importante oggetto di ricerca.
In particolare, studi sistematici hanno appurato che, soprattutto per la coltura allo stadio di blastocisti, una tensione parziale di CO2 al 5%, più vicina alle condizioni di relativa ipossia in vivo presenti nella tuba e nell’utero, sia nettamente da preferire a quella (20%) utilizzata in precedenza per decenni. Questa singola e semplice modifica assicura un incontestabile beneficio in termini di tassi di successo PMA (misurato come gravidanze evolutive per prelievo ovocitario). Per esempio, già agli inizi degli anni novanta del Novecento era possibile coltivare gli embrioni allo stadio di blastocisti con percentuali di sviluppo del 40% (percentuale esprimente il rapporto tra blastocisti ottenute rispetto al numero di ovociti fecondati). Tuttavia, in quei casi soltanto il 6-7% delle blastocisti ottenute e trasferite in utero erano in grado di impiantarsi. Attualmente invece, benché le percentuali di sviluppo a blastocisti non siano aumentate considerevolmente, i trasferimenti in utero di blastocisti garantiscono regolarmente percentuali di impianto di almeno il 30-40%.
La coltura degli embrioni allo stadio di blastocisti è una tecnica diffusa che può migliorare le probabilità di ottenere una gravidanza.