La crionservazione degli ovociti ha progressivamente acquisito un ruolo sempre più ampio e importante nei trattamenti di PMA. Biogenesi offre questo servizio con successo neli proprio centro di PMA di Monza.
Crioconservazione degli ovociti: una tecnica di PMA consolidata
Negli ultimi 10-15 anni, i tentativi di conservare ovociti maturi hanno rappresentato una risposta a diverse aspettative, quali quelle di limitare il numero di embrioni prodotti e crioconservati in singoli cicli di trattamento, rendere più sicura la donazione di ovociti, contenere l’incidenza di gravidanze multiple e preservare la fertilità nelle donne a rischio di menopausa precoce. Allo stato attuale, l’unica realistica opzione per la conservazione degli ovociti della specie umana – e di altre specie di mammifero – è la crioconservazione, modalità che consente la preservazione della vitalità cellulare per lunghi periodi attraverso il mantenimento alla temperatura dell’azoto liquido (-196°C). Altre forme di conservazione, quali l’ipotermia e la liofilizzazione, non sono ancora in grado di garantire la preservazione a lungo termine degli oociti, cellule particolarmente delicate e sensibili agli stress ambientali. La crioconservazione è applicabile attraverso due approcci, il congelamento lento e la vitrificazione, che si distinguono per il modo in cui il materiale biologico viene raffreddato dalla temperatura fisiologica a quella dell’azoto liquido, ma che indifferentemente consentono la conservazione del materiale biologico in uno stato fisico comparabile a quello vetroso. Il congelamento lento tende a prevenire la formazione di ghiaccio intracellulare, principale fonte di danno cellulare durante il processo di crioconservazione, attraverso una progressiva deidratazione verificantesi durante uno lento e controllato abbassamento della temperatura. In tal modo, la cristallizzazione dell’acqua avviene nell’ambiente extracellulare, ma non si estende (o non dovrebbe estendersi in maniera significativa) al compartimento intracellulare. La vitrificazione persegue invece l’obiettivo di impedire la formazione di ghiaccio extra- ed intracellulare attraverso un quasi istantaneo abbassamento della temperatura, facendo in modo che il tempo richiesto per la transizione termica dalla temperatura fisiologica a quella dell’azoto liquido non sia sufficiente affinché le molecole di acqua possano organizzarsi in un reticolo cristallino. In ambedue i casi, sostanze esercitanti un effetto crioprotettivo (agenti crioprotettori) svolgono un ruolo essenziale principalmente attraverso un effetto deidratante e di interferenza con il processo di cristallizzazione.
Il concetto della crioconservazione degli ovociti non è certamente innovativo. Già oltre un ventennio or sono, erano state riportate gravidanze ottenute con oociti crioconservati. Tali tentativi ebbero però un carattere episodico, non avendo dimostrato che fosse possibile la crioconservazione degli ovociti con la stessa efficienza con cui fosse già possibile a quel tempo conservare gli embrioni. A quell’epoca, le difficoltà poste dalla crioconservazione di ovociti non erano limitate alla specie umana. Infatti, negli anni settanta studiosi britannici avevano ottenuto ridotte percentuali di fecondazione in ovociti di topo crioconservati. In quegli anni, emergeva così progressivamente la consapevolezza che in generale gli ovociti fossero una tipologia cellulare scarsamente resistente alla crioconservazione. Le possibili ragioni della particolare sensibilità degli ovociti alla crioconservazione furono a quel tempo comprese solo in parte, ma si consolidò l’opinione che le grandi dimensioni cellulari, che limitano l’effetto deidratante dei crioprotettori, e la elevata sensibilità dello scheletro della cellula alle basse temperature costituissero difficoltà quasi insormontabili. Pertanto, in assenza di risultati incoraggianti sia in campo clinico, sia in ambito sperimentale, la crioconservazione di oociti fu dimenticata per circa un decennio, anche per l’elevata efficacia garantita della crioconservazione di embrioni e la scarsità di oociti umani da destinare alla ricerca.
Nella seconda metà degli anni novanta si assistette ad un rinnovato interesse nella materia. Nel 1997 esperti italiani riportavano il positivo completamento di una gravidanza ottenuta da un ovocita crioconservato e microiniettato (ossia soggetto a ICSI per ottenere la fecondazione). Tale risultato clinico aveva seguito di pochi anni importanti progressi in campo sperimentale. Infatti, nel 1993 ricercatori ancora una volta britannici avevano dimostrato che, attraverso opportune modifiche del protocollo di congelamento lento, fosse possibile ottenere in oociti di topo crioconservati percentuali di fecondazione e sviluppo pre- e post-impianto indistinguibili da quelle normalmente ottenute con oociti freschi. In tal modo, veniva sfatato il pregiudizio che gli oociti di mammifero non fossero crioconservabili in maniera efficiente. È difficile pensare che ciò non possa aver incoraggiato nuovi studi nella specie umana, pur considerate ovvie differenze (prima fra tutte le dimensioni) esistenti tra oociti murini e umani. L’atteggiamento rispetto alla crioconservazione di oociti cominciò a mutare, lentamente ma inesorabilmente. Tra la fine degli anni novanta e l’inizio del successivo decennio, furono pubblicate diverse esperienze cliniche basate sull’uso di ovociti crioconservati. Ancora una volta questi studi ebbero inizialmente un carattere episodico, a causa di inadeguati approcci metodologici. Tuttavia essi hanno conferito alla materia di studio un’inerzia positiva che dura tutt’ora e che nel corso dell’ultimo decennio ha portato al raggiungimento di risultati insperati, rendendo la crioconservazione di ovociti una concreta opzione clinica.
La crioconservazione degli ovociti è una tecnica utile per preservare la fertilità e programmare più cicli di PMA.