Induzione dell’ovulazione: quando dopo vari mesi di rapporti liberi e non protetti non si riesce a concepire, si iniziano a fare vari esami per identificare eventuali cause di sterilità e infertilità e il medico esperto di infertilità potrà decidere di optare per questa tecnica. Infatti, se la difficoltà a concepire è dovuta all’irregolarità mestruale causata da una produzione poco equilibrata o insufficiente dell’ormone FSH (follicolo-stimolante) o di LH (ormone luteinizzante) l’induzione dell’ovulazione (OI, ovulation induction) è un trattamento particolarmente indicato, che permette di portare a maturazione i follicoli e di ovulare in modo regolare. Una ovulazione regolare è un elemento imprescindibile per il concepimento.
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Induzione dell’ovulazione: quando è corretto ricorrere a questa tecnica di PMA
In condizioni ideali, il ciclo ovarico ha una durata di circa 28 giorni. Tuttavia vari fattori interferiscono con tale periodicità, dando luogo ad estensioni di parecchie settimane della durata del ciclo ovarico (oligomenorrea) o a una sospensione del ciclo mestruale (amenorrea). Ciò è spesso causa di iporfertilità o infertilità, condizioni che possono essere risolte con farmaci che promuovono e ripristinano contestualmente la funzione ovarica, consentendo in tal modo il concepimento naturale con rapporti mirati (ossia adeguatamente temporizzati con l’ovulazione), se non sono presenti altri fattori di infertilità.
Molti casi di oligomenorrea o amenorrea sono dovuti a una condizione di iperandrogenismo, nella quale l’impedimento della funzione ovarica è dovuto ad un eccesso di ormoni maschili. L’esito di tale condizione è rappresentato dall’ovaio micropolicistico: nell’ovaio sono presenti molti follicoli di piccole dimensioni che non riescono a crescere sufficientemente e che pertanto non riescono a produrre un ovocita maturo.
Per il trattamento di oligomenorrea e amenorrea viene spesso utilizzato il clomifene: la sua molecola ha un’azione antiestrogenica che si manifesta nel legame con i recettori per gli estrogeni localizzati nell’ipotalamo. Tale legame non determina alcuna azione ormonale, ma impedisce che gli estrogeni – prodotti dai follicoli in crescita – si leghino agli stessi recettori e inibiscano la produzione dell’ormone “gonadotrophin releasing hormone” (GnRH) da parte dell’ipofisi. Questa azione del clomifene è fondamentale per la sua funzione a supporto dell’ovaio: la crescita follicolare è sotto il controllo degli ormoni “follicolo stimolante” (FSH) e luteinizzante (LH) rilasciati dall’adenoipofisi secondariamente all’azione stimolante del GnRH. Pertanto, in presenza di clomifene non viene esercitato il controllo negativo da parte degli estrogeni prodotti dai follicoli in fase di crescita sul rilascio di FSH e LH. La continua esposizione dell’ovaio a concentrazioni relativamente più elevate di FSH e LH sostiene in tal modo lo sviluppo di uno o più follicoli.
Nel trattamento di induzione dell’ovulazione, il clomifene è solitamente somministrato a partire dal terzo giorno di un ciclo mestruale spontaneo o indotto con progesterone, per un periodo complessivo di somministrazione di 5-7 giorni. Il farmaco è sicuro e facile da usare, e per questo largamente impiegato. Nei casi di amenorrea da sindrome da ovaio policistico (polycystic ovarian syndrome, PCOS), l’uso di clomifene può essere preceduto da quello di metformina, soprattutto in presenza di obesità, per ridurre il ruolo dell’insulino-resistenza nella patogenesi della sindrome e dell’associata disfunzione ovarica.
In alternativa ai farmaci antiestrogenici quale il clomifene, la funzione ovarica può essere promossa dalla somministrazione esogena di FSH o “human menopausal gonadotropin” (hMG), quest’ultimo costituito da una miscela di FSH e un altro ormone ad azione simile all’LH. L’FSH ha la funzione di promuovere la crescita follicolare in modo che i follicoli di piccole dimensioni (1-2 mm) possano ulteriormente crescere e raggiungere una dimensione che consenta di ovulare un ovocita maturo. Nell’induzione dell’ovulazione semplice seguita da rapporti mirati, l’uso dell’FSH deve essere effettuato con cautela e in maniera blanda. Infatti, in tal caso lo scopo dell’intervento farmacologico è la crescita e ovulazione di uno, massimo due, follicoli, in modo da scongiurare il rischio di gravidanze trigemine o di ordine superiore in caso di concepimento. Pertanto, la somministrazione di FSH è effettuata a basse dosi e la crescita follicolare viene monitorata tramite ecografia transvaginale in modo da essere certi che la ripetuta somministrazione di FSH non porti troppi follicoli a crescere fino ad una dimensione compatibile con l’ovulazione.
Indipendentemente dall’uso di clomifene, FSH o altri farmaci per sostenere lo sviluppo follicolare, l’ovulazione del singolo o dei due follicoli sviluppatisi fino allo stadio preovulatorio viene effettuata con l’ormone “human chorionic gonadotropin” (hCG). Questa molecola riproduce l’azione di elevate concentrazioni di LH che in un ciclo ovarico naturale inducono la rottura del follicolo preovulatorio e il rilascio di un ovocita maturo che sarà poi convogliato nella tuba dalle fimbrie per essere fecondato. L’uso di hCG in luogo dello sfruttamento degli elevati livelli di LH che spontaneamente porterebbero comunque all’ovulazione a metà ciclo ha il fondamentale significato di temporizzare con sufficiente precisione l’ovulazione per coordinarla temporalmente con il momento del rapporto mirato. Con la somministrazione di hCG si creano invece le condizioni più favorevoli affinché la fecondazione avvenga con il massimo delle probabilità nella sua sede naturale, rappresentata dalla parte della tuba adiacente l’ovaio.
L’induzione dell’ovulazione è una tecnica molto semplice ed efficace, con ottimi tassi di successo. Si tratta di una tecnica indicata per le donne che soffrono di cicli mestruali ed ovulazione irregolari, in particolare per le donne affette dalla sindrome dell’ovaio policistico (PCOS).